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domenica 21 febbraio 2010

CHE TRISTE L'ITALIA DI SANREMO!

Sanremo è lo specchio degli italiani? Se è così, che amarezza!

Cosa ricorderemo del festival che si è concluso ieri? Il record assoluto di ascolti, magari: 12 milioni di spettatori per la finale, ovvero il 52% di share. Ma se ci fosse stata una controprogrammazione, i numeri sarebbero stati gli stessi - ieri sera Canale5 non ha mandato Io canto, il fortunato programma condotto da Gerry Scotti, ma il film Eyes Wide Shut -?

Ricorderemo forse una Antonella Clerici troppo sola e in imbarazzo: nel gestire le pause tra un'esibizione e l'altra; nell'uscire da polemiche, come quella scoppiata con gli operai di Termini Imerese. Forse un partner le avrebbe permesso di sciogliersi, di sentire meno il peso della responsabilità.

Quello che resterà del 60esimo Festival della canzone è un'immagine degli Italiani non tanto nuova e discutibile. Non più il Paese che premia le eccellenze: altro che bel canto! Siamo il popolo del televoto.

Cosa importa che Irene Grandi abbia interpretato con intensità la sua canzone grintosa e originale? Chissenefrega della voce vellutata di Malika Ayane, o della poesia di Enrico Ruggeri?

Noi vogliamo sul podio il principe sprincipato, sedanone blasonato che balla come una scopa e colleziona fiaschi elettorali. Votiamo l'amico Valerio Scanu - Dio ci liberi! -, che un anno fa ci teneva inchiodati alla tv con crisi isteriche e liti da cortile.

Bando al merito, che nel caso di Sanremo corrisponde a una bella canzone: vogliamo le baracconate, i fenomeni da circo Barnum. I fischi, l'orchestra che lancia gli spartiti per aria, le risse tra gli opinionisti: questa si che è musica!

Un'accozzaglia di note stonate, una serie di acuti assordanti e parole a caso. Il niente che ci stordisce ogni giorno e ci rende insensibili alle cose belle. Ecco cosa resterà di questo Sanremo: l'amara sensazione di un rincoglionimento generale.

giovedì 18 febbraio 2010

RAI: CENSURA E IPOCRISIA

http://www.youtube.com/watch?v=VoD7E3hGwu0

Morgan dichiara di fare uso di stupefacenti per curare la depressione: niente Sanremo.

Beppe Bigazzi racconta che un tempo in val d'Arno cucinavano gatti per tradizione: allontanato fino a nuovo ordine dalla Prova del Cuoco.

I giornalisti che curano programmi di approfondimento non vogliono adeguarsi al nuovo regolamento tv che equipara la comunicazione politica all'informazione: fuori dal palinsesto per tutto il periodo elettorale.
Poche storie... E' la Rai, bellezza!

Ultimamente la tv di Stato è animata da una nuova vocazione, censoria e moralizzatrice. "Eh no! Questo non si fa!", si impenna il cavallo di viale Mazzini, disarcionando subito l'incauto trasgressore.

Un nuovo, primario bisogno di controllo che, in realtà, è solo di facciata: Morgan può essere di cattivo esempio a Sanremo, ma non in tutti gli altri programmi Rai che lo invitano in quanto pietoso tossico.

Bigazzi spiega simpaticamente una ricetta tradizionale e per questo si becca una sospensione. Ma, intanto, quanti sono i personaggi volgari e i siparietti disdicevoli cui assistiamo nei talk show del pomeriggio?

Insomma, mamma Rai vuol fare la bacchettona, ma adopera due pesi e due misure: addò vede e addò ceca, come diciamo dalle mie parti.

Dulcis in fundo, ecco il nuovo regolamento ispirato alla par condicio che fa di tutt'erba un fascio: l'informazione giornalistica come la comunicazione politica. Porta a Porta, Ballarò e Annozero vengono cassate per far posto alle tribune elettorali, come spiega bene Giovanni Floris nella puntata dello scorso 9 febbraio.

http://www.youtube.com/watch?v=hhRYJP19HKI

Che cos'hanno in comune questi tre episodi? Semplicemente, la pretesa e l'abitudine, ormai spudorata, di controllare la comunicazione, di inserirla in schemi rigidi e ipocriti.

"Mamma, Ciccio mi tocca! Toccami, Ciccio, che mamma non vede". E' questa la missione del servizio pubblico?

martedì 16 febbraio 2010

SANREMO: LE PAGELLE DEI BIG

Delude fin dalle prime battute la 60esima edizione del Festival della Canzone Italiana. Con Bonolis e Laurenti in apertura, sembra di tornare indietro di un anno: insomma, repetita scocciant e Sanremo 2010 non promette niente di buono.

Non si poteva proprio fare a meno dell'estenuante duo Bonolis Laurenti? Voglio dire, quel siparietto triste, trito e ritrito; quell'inutile scimmiottare Totò e Peppino... E' una partenza sbagliata: che noia!

Ma Paolo Bonolis "appartiene" a Lucio Presta, si sa, e come lui la rigogliosa Clerici. Quindi, no: non si poteva fare a meno.

Bella e dimagrita, la padrona di casa Antonella Clerici sembra un pò ingessata e sotto tono. Delle due una: è ancora sedata dalle pillole che ha ingerito per perdere peso; risente dell'impatto con il palco dell'Ariston. Diamole tempo e passiamo, finalmente, alla gara.

Irene Grandi apre le danze con La cometa di Halley... E altro che se si sente la mano dei Baustelle! La canzone, infatti, è stata scritta insieme a Francesco Bianconi, leader del gruppo. Già con Bruci la città, clamorosamente esclusa da Sanremo 2007, i due avevano collaborato in maniera più che proficua. La toscanaccia Irene, a 40 anni suonati, non rinuncia all'aria da bambina cattiva, ma ci può stare. Il brano è orecchiabile, ritmato e si fa cantare. Voto: 7.

Valerio Scanu , l'Amico più uterino che Maria De Filippi abbia mai sfornato, canta Per tutte le volte che: solito brano autorale, tristemente sanremese. Un'impronta miseramente melodica, che, oltretutto, non mette a frutto le potenzialità dell'interprete. Voto: 4.

Toto Cutugno, così piacione e brizzolato da rubare il cuore alle sciure della madre Russia, canta Aereoplani... E sembra di sentirlo cantare Le mamme, o anche Gli amori: i successi che lo inchiodavano negli anni d'oro al secondo posto della classifica festivaliera. Un dejavu di cui si può fare a meno. Voto: 4.

Arisa canta Ma l'amore no. Lo scorso anno la sua aria naive e decisamente sopra le righe colpì per originalità: adesso sembra una forzatura. Arisa ha capito che fare la sbirulina del Festival paga, ma esagera: si fa accompagnare dal trio en travesti delle sorelle Marinetti. Comunque, il brano è spiritoso, ha il merito di trattare l'amore e le sue pene con leggerezza. Voto: 5.

Nino D'Angelo e Maria Nazionale cantano il primo brano in dialetto di questa edizione, Jammo Jà : D'Angelo è espressivo, la Nazionale molto dotata, ma il brano non è originale. Le solite tammorre accompagnano un testo che racconta la meridionalità e l'arte di arrangiarsi (ideona!). Voto: 5.

Talent che vai, stellina che trovi: Marco Mengoni, pupillo frignone di Morgan a Xfactor, con un look che farebbe impallidire la pop star Rihanna canta Credimi Ancora . Per fortuna, la voce colpisce più della cresta: Marco è un interprete interessante e il suo brano grintoso. Voto: 6 e mezzo.

Simone Cristicchi canta Menomale, il pezzo che ha fatto infuriare l'Eliseo e la premiere dame Carlà. Sembra quasi l'Enrico Ruggeri dei Decibel, ma Cristicchi non è altrettanto musicale. Il brano, comunque, coinvolge e resta in mente. Voto: 6-.

Malika Ayane canta Ricomincio da qui: l'attesissima performance non dispiace, ma neanche colpisce. Malika ha una voce particolare, ma la sua canzone, più che sorprendere, annoia. Voto: 6.

Accolti dai fischi, arrivano sul palco Pupo, Emanuele Filiberto e il tenore Luca Canonici: il loro omaggio all'Italia, Italia, amore mio, è triste e scontato. Niente contro il simpatico Enzo Ghinazzi, per carità, ma questo principe chi è? Chi l'ha visto mai?! Di botto, arriva in Italia e, per prima cosa, chiede un maxirisarcimento: poi si da al ballo, alla politica e adesso al canto. Di possibilità ne ha avute, credo: va bene riciclarsi, ma perchè non inventa una scusa e torna a casa (magari oltralpe)? Voto: 3.

Antonella Clerici legge un passo della canzone di Morgan, il grande assente: fosse stato per lei, dichiara, avrebbe lasciato che l'artista si esibisse... Ma lo commisera troppo, avallando l'immagine del derelitto che la tv di Stato ha ipocritamente confezionato.

Diretto dalla sua compagna, Andrea Mirò, Enrico Ruggeri canta La notte delle fate: brano poetico e delicato, ricco di immagini suggestive. Voto: 7+.

I Sonohra cantano Baby, che fin dalle prime note si candida a colonna sonora del prossimo film di Moccia. Quando cantano l'ammOre, i fratelli sbarbatelli emozionano come i Bee Hive (quelli di Licia). Voto: 4 e mezzo.

Povia canta La verità: personaggio molto sgradevole (uno shampoo, please, e poi giù quelle mani da mimo ubriaco!), ha tuttavia il merito di presentare un pezzo intenso, dal testo immediato ed emozionante. Voto: 6+.

Irene Fornaciari e i Nomadi cantano Il mondo piange: un inno all'amore che ha qualcosa di spirituale. La Fornaciari sembra una figlia dei fiori in clamoroso ritardo. Voto: 6.

Noemi, rivelazione della penultima edizione di Xfactor, canta Per tutta la vita: un brano molto radiofonico, in cui è facile riconoscersi. L'interpretazione di Noemi conquista perchè graffiante. Voto: 6 e mezzo.

Fabrizio Moro canta Non è una canzone: pezzo reggae molto incazzato sul disagio dei trentenni che non trovano il proprio posto nel mondo. Voto: 6 e mezzo.

Questa prima, deludente puntata della 60esimo Sanremo ha un merito: da spazio agli artisti in gara, che si susseguono velocemente, senza troppe interruzioni. Velocemente rispetto allo standard festivaliero, si intende.

Perchè è questo Sanremo: una gara tra cantanti che ha bisogno di ritrovarsi, evitando inutili divagazioni. Ospitate e partecipazioni straordinarie non si giustificano più: tre serate basterebbero, senza inutili lungaggini. Una festa della musica... E che musica sia!

lunedì 1 febbraio 2010

IL RITORNO SCIOCCANTE DI LUCA BARBARESCHI

Come mai sto guardando Luca Barbareschi e Fabrizio Corona insieme in una vasca da bagno? Il primo in giacca e cravatta, il secondo mezzo nudo: pieni di schiuma, si incensano a vicenda massaggiandosi i capelli. Che scena è questa?

Con una citazione di David Letterman - la famosa intervista a John Malkovich in una vasca da bagno -, Luca Barbareschi chiude la prima puntata di Barbareschi Sciock, lo spettacolo in onda su La7 che lo riporta in tv dopo anni di assenza.

Più che in uno studio televisivo, sembra di essere a un mega concerto: la star è lui, il presentatore, nonchè deputato Pdl e attore di fiction. Come Bono Vox, Barbareschi da inizio alla serata sotto fari da discoteca, accompagnato da una band piuttosto invasiva - la Rimbamband per la precisione -, prodiga di strombazzi e schitarrate.

Barbareschi Sciock, a detta dell'anchorman nonchè autore, è uno show crossmediale, nel senso che va in diretta tv e internet. Qualunque cosa significhi, crossmediale è un aggettivo che fa figo e per questo piace a quel gran figo del "Barba", che saluta il pubblico correndo sul tapis roulant in maniche di camicia.

Anche gli ospiti sono fighi: oltre a Corona, ci sono le ammiccanti ballerine di burlesque - cosa c'entrino non si sa, ma tirano da morire - e c'è Karkadan, il rapper tunisino che fa successo in Italia cantando le discriminazioni subite dai giovani musulmani. C'è anche Serena Autieri, bella e intonata: ci crede troppo quando canta in inglese, ma tutto sommato, consente al Barba di duettare e atteggiarsi a show man.

Non mancano le provocazioni: mentre gli altri mostrano improbabili plastici, il Barba si infila in un letto matrimoniale con tre trans. E dico tre: una giornalista e due medici.

Oltre a cantare e presentare, il Barba discute di ecologia e, contemporaneamente, sfotte gli ospiti e il pubblico a casa. E così le sue interviste sono un'occasione per fare sfoggio di intelligenza e ironia sottile.

Il Barba flirta con i personaggi, ma si diverte a metterli in difficoltà. In realtà, chi si sente a disagio è il pubblico a casa, che viene travolto da una serie di siparietti inutili, perdendo il filo del discorso.

Il Barba vuole stupirci con effetti speciali: il suo è proprio uno show schiumoso!

http://www.youtube.com/watch?v=45EgTXyI6K0

giovedì 28 gennaio 2010

IO CANTO: USIGNOLI AL PRIMO VOLO

D'accordo: è un programma praticamente già visto, ma bisogna riconoscere che i bambini di Io Canto sono bravi! Metti un brano nazional popolare come Perdere l'amore e l'ugola d'oro di un ragazzino paffuto: come non emozionarsi?

Non è lo Zecchino d'oro: questi piccoletti talentuosi fanno sul serio e cantano da grandi. Interpretano i loro idoli: Celine Dion, Andrea Bocelli, Mina...

Non c'è che dire: Io Canto è una delle grandi scommesse Mediaset di questa stagione. Gli altri programmi del Biscione (da Verissimo, a Pomeriggio5, ad Amici) non fanno che parlarne.

La gara canora under 16 è affidata al conduttore di punta, Gerry Scotti, e al regista Roberto Cenci, che il Biscione ha strappato a mamma Rai a suon di quattrini.

Il programma è la fotocopia di Ti lascio una canzone, il fortunato show condotto lo scorso anno su Raiuno da Antonella Clerici. Non a caso, anche Ti lascio era diretto da Cenci.

Di sicuro, la Clerici è più adatta a un format che vede protagonisti i bambini: è materna e spiritosa, come una Mary Poppins del tubo catodico. Scotti, invece, di solito molto facile alla commozione, sembra un pò ingessato: essere l'erede di Mike Bongiorno pesa!

Io Canto racchiude elementi che rimandano a talent di grande successo: il pubblico, per esempio, è diviso in tifoserie contrapposte, con tanto di striscioni colorati, come a Xfactor. Il marchio Mediaset, invece, è impresso sui primi piani dei genitori in lacrime, o sui bambini che dopo ogni esibizione si scambiano baci e abbracci: sono addirittura più credibili e meglio addestrati degli Amici di Maria.

Certo, le poesie da Baci Perugina che introducono ogni brano, con tanto di video, fanno molto filmino del matrimonio. Da evitare!

In studio c'è anche una giuria: Katia Ricciarelli - che ogni tanto duetta con i giovani concorrenti -, Iva Zanicchi, Afèf e, dulcis in fundo, Claudio Cecchetto, che lo scorso anno ricopriva lo stesso ruolo a Ti Lascio una canzone (come se le somiglianze non bastassero).

I format stranieri cui si ispira Io Canto sfornano ogni anno fenomeni da milioni e milioni di dischi: la 17enne Charice Pempengco, vincitrice nel 2005 del programma Little Big Star, è oggi una celebrità negli Stati Uniti e non solo. Speriamo, per la discografia italiana, che il programma condotto da Gerry Scotti persegua lo stesso obiettivo.
http://www.youtube.com/watch?v=jfpy-5ze_k4

martedì 26 gennaio 2010

LA MOLESTATRICE ELENA DI CIOCCIO

E va bene, devo ammetterlo: il gesto della iena Elena Di Cioccio è stato scorretto. Per dimostrare che nelle pubblicità di intimo il pacco di David Beckham è stato ritoccato, l'inviata del programma più irriverente della tv ha deciso di toccare con mano, nel vero senso della parola. Ha atteso a un party milanese il biondo spice boy e gli ha toccato le parti basse. Così, per dovere di cronaca.

E allora? Le Iene ci hanno abituati al politicamente scorretto: dimostrazioni forti, spesso contrarie al buon senso, gesti di grande impatto mediatico. E' un pò la mission del programma.

Più nello specifico, quello della Di Cioccio voleva essere un servizio giocoso e leggero. Di certo non il primo della serie: il suo collega Enrico Lucci ha spesso rubato baci e accarezzato forme "sospette".

Ma stavolta la parte lesa si è proprio risentita e ha querelato Elena Di Cioccio per molestie sessuali.

Preferisco sorvolare sulle ragioni di tanto sdegno e osservare i fatti dal punto di vista dello spettatore. Non mi sono sentito offeso dal gesto della Di Cioccio: casomai, mi sono fatto una risata e ho inneggiato alla rivincita di quelli che, osservando le foto pubblicitarie di Beckham, si sono sentiti sminuiti.

Il problema, semmai, per il pubblico a casa, è un altro. Le Iene hanno sempre fatto ricorso a gesti del genere, che rispecchiano la loro natura maleducata e sconveniente. Già, ma prima, oltre a fare mascalzonate, le iene denunciavano, attaccavano, svelavano. Oggi? Un pò meno.

Il dubbio è che gli autori del programma, con trovate come quella del "pacco", vogliano solo dimostrare di aver conservato lo spirito originario. Quasi a voler rispondere a chi li accusa di essersi ingessati e imborghesiti.

In ogni caso, solidarietà alla simpatica Di Cioccio e lunga vita alle Iene. Quelle socialmente utili, oltre che dispettose.

http://www.youtube.com/watch?v=7YxmV9Gmxcw

domenica 24 gennaio 2010

L'IMPEGNO DEI SERIAL AMERICANI

Perchè i telefilm americani sono così avanti? Cosa li rende prodotti di qualità in grado di competere con il cinema?

Le risposte sono svariate: sceneggiature originali, non scopiazzate o ricicciate; attori degni di questo nome, non avanzi di reality o calendari; una regia che non lascia niente al caso, dalla colonna sonora alle scenografie.

Ma c'è una cosa che distingue la serialità americana da tutte le altre e che in Italia, purtroppo, non è ancora concepita: l'impegno. Mi spiego.

In due dei telefilm che amo di più, Grey's Anatomy e Brothers and sisters viene affrontato il tema della guerra in Iraq. Gli episodi a cui mi riferisco sono stati scritti e girati durante l'amministrazione Bush, mentre l'America vedeva tornare i propri figli dal golfo in bare di zinco, mute e terrificanti.

La paura di rivivere l'incubo del Viet Nam era diffusa - lo è ancora oggi, anche se il teatro di guerra si è spostato in Afghanistan - e gli sceneggiatori di questi due serial hanno deciso di darle voce.

In Brothers and sisters, Justin, il più piccolo dei cinque fratelli Walker, decide di arruolarsi e laggiù in Iraq vede morire tutti i suoi compagni. Tornato a casa, precipita in un tunnel di solitudine e droga: si sente in colpa, si vuole male e respinge tutti quelli che lo amano.

In Grey's Anatomy, il dottor Owen Hunt, chirurgo d'urgenza in servizio sul fronte iracheno, decide di tornare negli Stati Uniti, ma poi se ne pente: non si perdona l'aver lasciato il campo di battaglia, è solo e si sente un traditore. Chiede aiuto a un analista, ma inutilmente: non riesce a dire a sua madre di essere rientrato e, in un raptus improvviso, tenta di strangolare la donna che ama.

La tv - come il cinema, la letteratura e il teatro sociale -, non solo interpreta il comune sentire, ma si pone l'obiettivo di sensibilizzare l'opinione pubblica su tematiche di un'attualità bruciante.

Anche in Italia esistono tentativi del genere: ieri sera, per esempio, è andata in onda su Raiuno la fiction Gli ultimi del paradiso, sulle morti bianche. Un prodotto apprezzabile e di alto senso civico, ma che non fa sognare. Inevitabile rimpiangere le musiche - le più giuste, al momento giusto - e la fotografia dei serial americani; l'intensità senza eguali degli attori d'oltreoceano.